In ogni persona che si accinga ad eseguire un pezzo avviene un processo dialettico continuo, in tempo reale, tra due attività: il progettare e lautoascoltarsi inteso come il controllare la corrispondenza del risultato dellazione esecutiva con lintenzione che lo ha generato. La concezione che un interprete ha di unopera è articolata in relazioni a più livelli tra una parte e le altre, tra una frase, ciò che precede e che segue, e via di seguito, configurandosi in una sorta di equilibrio di proporzioni complessivo. Ora, poiché anche nei casi di maggior perfezione esecutiva ciò che eseguiamo non corrisponde mai completamente allidea che ne abbiamo, ad ogni momento di non-corrispondenza segue una ri-impostazione degli equilibri complessivi. Ciò avviene a tutti i livelli, in misura maggiore o minore; quanto più questo processo è continuo e immediato, tanto più lesecutore è efficace; è invece meno efficace quanto più in questo processo esistono lacune, vuoi per lincapacità di autoascoltarsi anche per distrazione temporanea vuoi per lincapacità di ri-impostare le simmetrie ed i rapporti concepiti. Realizzare unesecuzione senza reagire agli stimoli che provengono dai propri stessi errori oppure anche da nuove idee precedentemente non valutate è per un interprete un limite determinante. |
Ci si chiede sempre come mai proprio la grande musica abbia un così generale problema di diffusione tra il pubblico. Responsabilità non marginale hanno anche i mediatori della musica, esecutori e produttori, che, nellansia di successo, si sono posti come obiettivo primario quello di dare al pubblico ciò che esso chiede, anziché assumere la missione, e la responsabilità, di proporre autonomamente ciò che nella musica rivela le meraviglie che sono da scoprire, e sempre riscoprire, nella incommensurabile ricchezza di contenuti e vastità di atteggiamenti del repertorio antico e contemporaneo. La musica può essere rivelatrice; se si pensa che debba essere il pubblico ad orientare le scelte nella speranza di trovare ciò che generalmente poi non trova - ci si avvia su una china inarrestabile, mettendo la musica in concorrenza (perdente) con le attività di intrattenimento sul terreno del gradimento superficiale della massa. È invece la capacità della musica di illuminare, di offrire squarci che ci rivelano a noi stessi, che deve guidare le proposte: una programmazione così concepita costituirà lunico strumento vincente per guadagnare alla cultura musicale il pubblico, in un meccanismo che una volta innescato si autoalimenta, offrendo risposte ad esigenze profonde che trovano oggi sempre meno soddisfazione. |
Luigi Dallapiccola (1904-1975), il più profondo compositore italiano del Novecento, ha lasciato un esempio, tuttora non metabolizzato appieno, luminoso per tensione creativa e rigore morale. La sua musica, cui fanno da corollario alcuni acutissimi saggi critici, non ha avuto negli ultimi decenni lattenzione meritata, vuoi per lessersi lui sempre tenuto fuori da schieramenti estetico-politici, vuoi per la scarsa corrispondenza della sua poetica ai dettami delle lobbies che hanno dettato la legge in Italia nel secondo dopoguerra. Il suo linguaggio, personalissimo ed unico a partire dai primi anni 40, sintetizza il costruttivismo del sistema dodecafonico adottato (in tutti i lavori dalla Liriche greche in poi tranne che in tre casi) in maniera diversa rispetto al modello di Webern, suo più consono riferimento nellambito della scuola viennese - con leredità spirituale della grande musica italiana medievale e rinascimentale e con un gusto timbrico cui non è estranea linfluenza cameristica francese coeva. La sua parabola creativa testimonia la ricerca instancabile di una purezza espressiva specchio di un anelito spirituale, e gli esiti sono, nellesiguità di una produzione improntata da rigorosissimo senso autocritico, sempre altissimi.
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